Gli anni in cui il sintetizzatore analogico si impone sul mercato e ottiene il successo tra i musicisti di tutto il mondo coincidono con la maturità degli studi sperimentali di musica elettronica, creati negli anni cinquanta.

La creazione di studi come quello della Rai di Milano o come lo studio di elettronica di Colonia aveva permesso, a una élite di professionisti ingegneri e musicisti, di approfondire le possibilità espressive della sintesi del suono.

Luciano Berio, Bruno Maderna, Karlheinz Stockhausen sono stati tra i maggiori protagonisti di questa ricerca timbrica pionieristica ed hanno divulgato le esperienze e i nuovi metodi compositivi che sperimentavano, creando una nuova generazione di "musicisti elettronici".

Quando nel 1970 il Minimoog (uno tra i primi sintetizzatori compatti e portatili) fa la sua comparsa, già molti studi di musica elettronica erano stati creati in tutto il mondo. Ogni laboratorio di solito aveva in dotazione almeno un sintetizzatore modulare e un registratore a nastro. Questa semplice ed essenziale strumentazione, che da lì a poco diventerà accessibile a moltissimi, provoca un cambiamento epocale nella creazione musicale. La registrazione su nastro multi-traccia e l'uso dei sequencer annullano il problema della "contemporaneità della esecuzione delle parti", in altre parole il musicista può registrare prima una parte di basso, poi una melodia e ancora dopo una sezione ritmica in tempi differenti. Per la prima volta il compositore ha il pieno controllo di quello che sarà il prodotto finale registrato, senza dover ricorrere espressamente ad altri interpreti e senza dover registrare esclusivamente una performance dal vivo. In una certa misura il compositore-esecutore si emancipa anche dalla necessità del virtuosismo. Attraverso i sequencer si ha la possibilità di impostare preventivamente eventi, di riprodurli infinite volte variando i parametri sino ad ottenere il timbro voluto e solo in quel momento di registrare la sequenza sul nastro. "Nella musica elettronica l'esecutore non ha più alcuna funzione. Il compositore realizza insieme ad altri tecnici l'intero pezzo. Ogni fase del lavoro può essere ripetuta fino a raggiungere esattamente il risultato desiderato." Musica elettronica e musica strumentale, K. Stockhausen, in Pousseur, 1976, pag. 48.

Esempio concreto di questo metodo è il lavoro di Walter Carlos che nel 1968 pubblicò il suo celebre album Switched-on Bach, eseguito completamente con uno dei primi sintetizzatori modulari costruiti da Robert Moog anche grazie ai consigli dello stesso Carlos. Nel suo studio era presente anche un registratore 8 tracce Ampex, che gli permise di sovra-incidere le varie parti di opere di J.S. Bach arrangiandole per sintetizzatore. Dopo il grande successo di questo album altri utilizzarono opere classiche adattandole a strumenti elettronici, come Isao Tomita con i "Planets" di Holst, creando una corrente di riproposizione di opere della musica colta nella musica elettronica. Il musicista esprimeva la sua arte cercando di imitare gli strumenti reali attraverso il sintetizzatore e reinterpretava le composizioni secondo il gusto degli anni sessanta e settanta, la macchina sostituiva i musicisti e spesso tutto ciò assumeva una colorazione fantascientifica e meccanica. Non a caso infatti il cinema introdusse immediatamente l'uso del sintetizzatore sia per sfruttarne gli effetti audio, sia per usarlo nelle colonne sonore, come in Star Wars, Star Trek, Fuga da N.Y., Odissea 2001 nello spazio e il suo emulo sovietico Solaris. Anche gli altri generi furono interessati da questa interpretazione in chiave elettronica di altre opere, si sviluppò così un genere discografico dedicato al Moog (come veniva definito in generale il sintetizzatore) in cui i maggiori successi venivano riproposti riarrangiati per strumenti elettronici. Anche in Italia, il compositore di colonne sonore Riz Ortolani produceva un album che si chiamava "Switched on Naple", con chiaro riferimento all'opera di W. Carlos, in cui proponeva brani della tradizione popolare partenopea suonati con i sintetizzatori. "Ogni successo pop doveva essere assolutamente eseguibile in versione elettronica e «moog» era la parola d'ordine che veniva stampata a caratteri cubitali su una serie infinita di album." Sancristoforo, 2007 pag. 33.

Quello che più ci interessa sottolineare in questo luogo è la diffusione dell'uso del sintetizzatore tra i musicisti di tutto il mondo, nei più disparati generi musicali. A soli 20 anni dalla sua prima commercializzazione, questo strumento era già stato usato sui palchi e negli studi di tutto il mondo. Oggi sono molti i produttori che costruiscono e inventano sempre nuovi modelli e il gradimento del pubblico, soprattutto tra i più giovani, è altissimo.

Funzione emulativa

Forse uno dei punti di forza del sintetizzatore, che ha attirato da sempre il musicista, è la possibilità di produrre un'infinità di suoni diversi. In effetti la qualità di una multi-timbricità così varia non è presente in altri strumenti ma è stata evidentemente sempre ricercata (basti osservare che negli organi a canne alcuni registri sono definiti con il nome di uno strumento o della voce che cercano di ricordare). Il potere emulativo dello strumento è stato sfruttato sin da subito dai costruttori che davano nomi di strumenti a programmi preimpostati poco verosimili: "clarinetto, piano, clavicembalo, ecc". Il miraggio della sostituzione dello strumento vero con quello sintetico ha impegnato da una parte le case costruttrici nella progettazione di strumenti sempre più potenti (adottando l'uso di più filtri, della polifonia, della dinamica) e dall'altra favorito una certa contrarietà all'uso del sintetizzatore. Molti infatti hanno riconosciuto nel sintetizzatore solo la mera funzione emulativa e per questo hanno preso le distanze da uno strumento poco originale con un suono freddo e innaturale. Se però fino verso la fine degli anni ottanta, la priorità per molti costruttori era stata quella di fare sintetizzatori capaci di riprodurre fedelmente strumenti acustici, dagli anni novanta si rivaluta fortemente il "carattere sonoro" proprio di ogni macchina. Il sintetizzatore, giunto ormai in età matura, non ricerca più la somiglianza, ma al contrario vuole affermare una propria specificità. Passano di moda (senza mai scomparire soprattutto nell'ambito professionale) i sintetizzatori che cercano di emulare suoni acustici, per lasciare il posto a progetti che in un certo senso esibiscono e mettono in evidenza i propri limiti e ne fanno un tratto distintivo.

Quando la Clavia per esempio, ha introdotto sul mercato il Nord Lead (uno dei primi sintetizzatori che ha emulato la sintesi analogica e i suoi controlli esterni con una certa precisione) era consapevole di scontrarsi sul mercato con decine di altri sintetizzatori in grado di riprodurre i suoni dei primi sintetizzatori analogici, ma sapeva anche che pochissimi riuscivano ad ottenere realmente il timbro e la qualità dei primi strumenti elettronici. La Clavia decise quindi di mettere sul mercato uno strumento con sole 4 voci di polifonia, quando ormai il più economico dei sintetizzatori a campioni poteva riprodurre almeno 16 suoni contemporaneamente. Il Nord Lead ebbe un grosso successo commerciale nonostante queste particolarità potessero sembrare un grosso limite. Evidentemente i musicisti erano pronti a ad avere meno possibilità in relazione al numero di voci o alla multi-timbricità, pur di poter suonare uno strumento con un suono proprio ben definito, capace di farsi distinguere dagli altri. Per lo stesso motivo migliaia di artisti hanno ricominciato (o continuato) ad usare sintetizzatori modulari scomodi da trasportare e senza memorie, ma con possibilità timbriche decisamente superiori.

Illustrazione tratta dal manuale del Sequential circuits prophet 5. Si cerca di alleggerire la complessità della raffigurazione (tragitto del segnale) dando un buffo volto al suono in uscita.Per i primi utilizzatori, le difficoltà di programmazione furono evidenti. Nel manuale del Arp 2600 per esempio, si possono trovare consigli come: "accendere per sentire il suono". Effettivamente bisogna comprendere l'elementare grado di erudizione generale nei confronti degli elettrodomestici e degli strumenti audio, alla fine degli anni sessanta. Molti manuali di sintetizzatori di questi anni hanno delle "introduzioni alla sintesi del suono" spesso corredate da immagini che semplificano i non facili concetti di propagazione del suono e le funzioni degli oscillatori, dei filtri, degli inviluppi.

Le memorie

La difficoltà di utilizzo era accresciuta anche dal fatto che per anni l'unico modo per poter memorizzare un "Programma"(le impostazioni dei vari parametri del sintetizzatore che definiscono un suono) era stato quello di trascrivere su degli appositi fogli prestampati ogni posizione dei controlli. Praticamente si scattava una "fotografia" del pannello. Per riproporre un suono, si dovevano reimpostare tutti i parametri segnati in una lenta, paziente e ovviamente imprecisa mappatura dei valori. Alcuni costruttori fornivano anche dei pannelli forati da applicare sui sintetizzatori, su cui si potevano segnare e richiamare i valori più facilmente. Tutto ciò comportava una grossa approssimazione nella ricreazione dei programmi e l'impossibilità di passare istantaneamente da un programma all'altro. Chi poteva permetterselo, in esecuzioni dal vivo, mitigava il problema portando più sintetizzatori con i suoni già preimpostati, ma sicuramente all'inizio il sintetizzatore fu uno strumento più da utilizzare in studio anche per questo limite.

Alcune soluzioni erano state adottate già prima dell'avvento delle memorie: nei grandi studi di musica elettronica il problema era stato risolto con le schede perforate (era una macchina a fare la fotografia quindi con più precisione e velocità), oppure si usava un sequencer per memorizzare alcuni parametri fondamentali. Nel primo caso, il passaggio da un suono all'altro non era comunque istantaneo e nel secondo i limiti erano nella esiguità dei parametri memorizzabili e nella difficile applicazione della tecnica.

La prima risorsa che i costruttori apportarono, per ovviare a questi problemi, fu quella di creare sintetizzatori con memorie preimpostate definite "Preset". Il meccanismo di costruzione è molto semplice, basta creare un suono e calcolare i valori di tutte le resistenze variabili di cui è dotato lo strumento, successivamente si ricrea in miniatura, nascosto alla vista, un pannello di resistenze fisse che si sostituiscono a quelle variabili. Infine si usano dei deviatori per far passare il segnale attraverso i vari "micro-pannelli". Quasi ogni casa costruì il suo strumento a preset tra cui ebbero maggior fortuna l'Arp Prosoloist e il Moog Satellite. Questi sintetizzatori, oltre ad avere la comodità di poter disporre di una decina di suoni da usare subito, furono ben accetti perché non richiedevano una conoscenza approfondita dell'uso della macchina, (anche se si poteva scegliere se controllare o meno alcuni parametri basilari) e perché lasciavano al musicista la possibilità di concentrarsi contemporaneamente su altri strumenti, come organi Hammond e piani elettrici.

Pannello "nascosto" delle 4 memorie del Yamaha CS80

La Yamaha con il CS80 del 1976 adottò una soluzione molto dispendiosa e unica nel suo genere per ovviare al problema della memorizzazione, ricreò in miniatura 4 pannelli di controllo facilmente richiamabili poi da 4 tasti.

Il Sequencial Circuits Prophet 5 (USA 1978) fu tra i primi sintetizzatori a integrare un sistema di memoriebasato sul microprocessore Zilog Z80 (utilizzato poi in vari altri strumenti come Moog Memorymoog o Roland Jupiter 8); con l'uso di questo integrato era possibile finalmente registrare un programma fatto dall'utente e richiamarlo in qualsiasi momento. Il Prophet 5 ebbe subito grande successo e grazie alla polifonia e alle memorie divenne un classico sui palchi e negli studi di tutto il mondo. Era possibile scaricare, attraverso una interfaccia a cassetta prima e di una MIDI dopo, tutti i programmi per poterli salvare al di fuori del sintetizzatore e poterli caricare su un altro dello stesso tipo. Nacquero così anche le banche di suoni da vendere e scambiare, un paragrafo del manuale d'uso del Xpander della Oberheim (USA 1984) veniva intitolato "Learning To Love Your Cassette Interface".

Volantino piblicitario del Moog Source uno dei primi sintetizzatori dotato di Le memorie fecero nascere nuove tipologie costruttive, i produttori capirono che si poteva risparmiare sull'hardware eliminando pomelli, selettori e altro e dotare il sintetizzatore di un unico controllo "Data Entry"con cui poter modificare ogni parametro. Proprio in quest'epoca (primi anni ottanta), il sintetizzatore cominciò a cambiare aspetto divenendo "piatto" e pieno di tasti funzione, ma privo di controlli rotativi o a cursore. Solo negli anni novanta, quando i musicisti riscoprirono la praticità esecutiva data dai controlli, si tornò a costruire strumenti pieni di pomelli. La Oberheim sviluppò un sintetizzatore, il Matrix 1000 (USA 1987), che aveva forti potenzialità di interconnessione tra i moduli interni, ma nessuna possibilità di modifica istantanea attraverso controlli esterni. Il nome Matrix 1000 derivava dalla presenza di una architettura a matrice e dal numero, per quei tempi eccezionale, di 1000 memorie. Di queste solo 100 erano modificabili (attraverso un software o un altro sintetizzatore Matrix 6) le altre 900 (Presets) erano preconfigurate dalla casa. Questo sintetizzatore, in formato rack senza tastiera, rappresenta senza dubbio un passaggio cruciale nel metodo di approccio alla scelta e all'uso dei suoni sintetici. D'ora in poi infatti il musicista deciderà quale strumento usare anche in base ai suoni preimpostati dalla casa, dal numero di memorie presenti tra cui scegliere e dalla disponibilità di librerie di suoni in commercio.

Oltre ai preset emulativi, già nei primi sintetizzatori, si potevano trovare nomi di programmi come "pulsar" o "space sound" che poco avevano a che fare con gli strumenti classici e la loro imitazione. Forse in queste nuove possibilità di esperienze sonore si può riconoscere un altro fattore di successo della sintesi analogica e cioè della produzione di suoni, mai sentiti prima, che incuriosiscono sia l'ascoltatore che il musicista e che possono essere usati in musica, ma non solo.

Il sintetizzatore analogico, grazie al suo apporto di sonorità futuristiche sarà utilizzato infatti anche al di fuori della composizione musicale. L'innaturale timbro della produzione elettronica e il conseguente senso di "tecnologia" che il suono sintetico ancora oggi produce nell'ascoltatore ne ha favorito un largo uso nel cinema, nella televisione e nella radio. D'altronde "lo stesso pubblico che in sede di concerto respingerebbe con furore certi pezzi, li digerisce senza battere ciglio se gli vengono propinati come colonna sonora di un film dell'orrore o di fantascienza o di introspezione psicologica." Donati, 2002, pag. 169. Il cinema è quindi uno dei veicoli più sfruttati dai compositori di musica elettronica per far accettare i loro lavori e per poterli proporre ad una platea molto più vasta di quella degli amanti del genere.

Cinema, televisione e spettacolo

E' indubbio che il cinema, la televisione e la radio abbiano aiutato la crescita e lo sviluppo dei primi sintetizzatori. Gli effetti speciali dei film di fantascienza, degli spot pubblicitari, dei cartoni animati sono stati creati con i primi sintetizzatori modulari. Il ricco mercato delle comunicazioni negli anni cinquanta e sessanta, ha favorito l'affinamento dello strumento spingendo i costruttori a inventare e commercializzare macchine sempre più potenti e affidabili.

Non è un caso che i primi moduli Moog siano stati venduti nel 1964 a un coreografo-musicista come Alwin Nikolais e che uno dei maggiori acquirenti nei primi anni di produzione artigianale sia stato Eric Siday un musicista della London Royal Academy of Music che si era cimentato nella sonorizzazione di film muti e si era poi trasferito negli stati uniti dove aveva collaborato anche con John Cage. Per Eric Siday il passaggio dalla musica colta sperimentale a quella commerciale fu accompagnato da un'attenzione estrema alle infinite possibilità di creazione sonora, "When radio and TV came along, he helped invent a new occupation: creating electronic jingles, sound signatures, and sound logos that, in five seconds, identify a product or corporation on tv or radio. He used oscillators, tape loops, splicing and any other technique he could lay his hands on to ply his new trade. One of his best-known signatures was the burps of coffee percolating in a Maxwell House coffe commercial. The little eletronic ditty that introduced every CBS television show as an announcer said "CBS present this Program in Color" Was heard by millions, and it earned him $5,000 for each second of sound." Pinch, 2002, pag 55.

In effetti Bob Moog vendette il suo primo grande sistema modulare proprio a Siday; questo "creatore di loghi sonori" aveva le idee chiare sui moduli che potevano essergli utili e anzi ordinò delle parti personalizzate richiedendo per esempio una tastiera a temperamento modificabile. Nell'epoca pionieristica dell'avvento del sintetizzatore il continuo scambio tra costruttori e utilizzatori fornì le basi per avviare uno sviluppo veloce e fruttuoso, i primi consigli, critiche, richieste vennero proprio da un musicista sperimentatore che inventava suoni "commerciali". Nel giro di pochi anni il suono del sintetizzatore giunse a milioni di persone anche attraverso la radio e divenne molto familiare perché la ripetitività dei loghi sonori e dei jingles pubblicitari non potevano sfuggire all'ascoltatore.

Già prima dell'avvento del sistema CV altri strumenti elettronici come Theremin (Ultimatum alla Terra di R. Wise del 1953), Trautonium (suono degli Uccelli di A. Hitchcock del 1963) e Ondioline (Spartacus di S. Kubrick del 1960) erano stati utilizzati nel cinema, nel 1969 invece John Barry nel film della serie 007 "On Her Majesty's Secret Service" di P. R. Hunt utilizza un sintetizzatore Moog per la colonna sonora. In realtà l'uso è comunque molto orchestrale e ben integrato tra gli strumenti acustici, una sequenza di basso ostinato ed inesorabile che avrà sicuramente raggiunto l'obbiettivo di sorprendere e affascinare l'ascoltatore non abituato a sentire suoni sintetici.

phantom of the paradise trailer

Negli stessi anni la BBC trasmetteva un telefilm diventato un cult anche grazie ai suoi suoni. In Doctor Who non erano solo le musiche ad essere pervase da suoni sintetizzati,ma anche i suoni d'ambiente e delle futuristiche macchine di cui era dotato il protagonista erano generati dai sintetizzatori della EMS, una delle maggiori case produttrici di quell'epoca. Una generazione di giovani è cresciuta guardando ed ascoltando telefilm di questo tipo, la stessa generazione che poi riutilizzerà i sintetizzatori analogici per riportarli in voga con la "house music" e l'ondata di musica elettronica degli anni 90.

Nel 1977 nel film "Incontri ravvicinati del terzo tipo"di S. Spielberg una sequenza di 5 note è l'unico metodo di comunicazione tra l'uomo e gli extraterrestri. Nel film la generazione della semplice sequenza è affidata a uno dei sintetizzatori analogici più grandi e complessi mai costruiti l'ARP 2500. Ovviamente sarebbe bastato uno strumento molto più compatto per eseguire la famosa frase, ma l'impatto visivo di questa parete di pomelli suscita nello spettatore il senso di tecnologia e di "controllo" voluto dal regista e in poche parole "fa scena". Questo impatto visivo però non colpisce solo chi va a vedere un film di fantascienza, la ricchezza di controlli dei pannelli dei sintetizzatori analogici attrae anche i musicisti e gli audiofili che vedono materialmente davanti a se le infinite possibilità di modifica del suono senza dover entrare negli ostici menù degli strumenti digitali. In realtà il sentirsi al comando di una centrale di controllo fa parte del "gioco" dell'essere tastierista e programmatore, anche il sintetizzatore può attrarre per la sua estetica come accade per gli strumenti acustici, Il Moog Voyager per esempio può essere ordinato scegliendo i colori delle retroilluminazioni e le essenze dei legni, segno dell'attenzione che il musicista e quindi il costruttore pongono anche all'aspetto estetico del proprio strumento.

I gruppi di musica elettronica

Già nei primi anni settanta molti gruppi di musica pop, rock e rock progressive di successo utilizzavano stabilmente i sintetizzatori analogici e anzi avevano fatto di questo utilizzo una loro particolarità identificativa (tra tanti basti citare Emerson Lake and Palmer o Stevie Wonder). Bisogna aspettare ancora qualche anno però per vedere sul palco dei musicisti che suonano solo ed esclusivamente dei sintetizzatori e che nello stesso momento scalano le classifiche discografiche. I Kraftwerk rappresentano il successo popolare del sintetizzatore, ma non solo. Quello che fino ad allora era stato attribuito al rock, la necessità di esprimere musicalmente quel distacco generazionale che non era mai esistito nelle epoche precedenti e la libertà di utilizzare nuovi strumenti e amplificatori per esternare la forza rivoluzionaria di quell'epoca al massimo volume, diventa ancora più radicale nella musica elettronica del gruppo tedesco. L'uso di sequencer e di percussioni elettroniche indirizzano naturalmente il gruppo verso un minimalismo ripetitivo. Prende vita sempre di più la consapevolezza di vivere in un epoca fatta di macchine e computer in cui i Robot-sequencer sono presenti anche nella generazione della musica. Se è vero che alla ricchezza della rivoluzione culturale della fine degli anni sessanta si contrappone un'alienazione dello stato umano ridotto alla ripetitività dalla sua condizione di operaio nella catena di montaggio, è anche vero che la rivoluzione informatica, appena cominciata e carica di enormi attese, offre una visione diversa della interazione uomo macchina. Dai nuovi gruppi elettronici POP scaturiscono nuove forme musicali che vedono, nella automazione e nella purezza dei timbri dei sintetizzatori, il riscatto della condizione uomo-macchina.

kraftwerkIl bello, il sublime è basato sulla semplicità delle frasi melodiche sulla perfezione della ricerca timbrica nell'assenza di suoni acustici oppure nel loro adeguamento alla sfera del sintetico, filtrati, rovesciati, separati e tutto quello che la musica concreta aveva già sperimentato. Alle voci dei cantanti si preferisce usare il Vocoder o più tardi le prime generazioni vocali informatiche. I Kraftwerk sono tra i primi ad utilizzare strumenti percussivi elettronici progettando primordiali controlli a pad o a bacchette controllano sintetizzatori programmati per generare suoni ritmici. In questo gruppo si può scorgere l'ampio spettro che la musica elettronica può coprire in quegli anni: dalla sperimentazione sonora allo studio dell'interazione uomo-macchina dalla ricerca tecnica allo sviluppo di pezzi in forma canzone di grande successo commerciale.

L'inzio degli anni ottanta vede la nascita di una corrente di musica elettronica POP inglese con a capo gruppi come i Depeche Mode, i Soft Cell, gli Ultravox, Gary Neumann definita New Wave o Synth pop. Questa volta l'uso del sintetizzatore è sottomesso alla struttura tipica dei brani punk di qualche anno prima. In questa esperienza il sintetizzatore funge più da elemento di rottura con il passato che da vero ispiratore di creazione musicale, le strutture e i suoni minimali dei Kraftwerk sono sostituiti con arrangiamenti carichi di ingombranti e corposi suoni resi ancora più invadenti dall'accresciuta potenza degli strumenti. Quello che veramente interessa di questa esperienza è la grande popolarità raggiunta dal sintetizzatore in questi anni grazie ai successi commerciali di questi gruppi. La voglia di emularli da parte dei giovani ha introdotto una generazione all'utilizzo del sintetizzatore e all'apprezzamento delle sue differenze e peculiarità.

 

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

Joomla templates by a4joomla